di Stefano Testa
Nella società contemporanea c’è una completa cecità di fronte ad una possibile catastrofe antropologica ed educativa, alle evidenze di sfaldamento sociale e di profondi disagi psichici e fisici soprattutto giovanili. E ho grandi timori per quello che potrà avvenire nel giro di qualche anno, se non si prenderanno le opportune contromisure.
Ci dobbiamo chiedere perché non vediamo i problemi, o li minimizziamo, o li interpretiamo, criminosamente, come effetti collaterali, marginali, dell’inarrestabile progresso economico e tecnologico.
Ma ci dobbiamo innanzitutto chiedere: come è stato possibile che si siano potute generare misure istituzionali e legislative che hanno cancellato credenze secolari: per cui, ad esempio, si possono far crescere bambini con due genitori dello stesso sesso. O per cui colei che partorisce non necessariamente è la madre. Mi riferisco alla maternità o gravidanza surrogata, il cosiddetto “utero in affitto”, che rappresenta una delle forme più gravi di violazione della dignità umana che una società abbia potuto concepire. O per cui potessero diffondersi le follie dell’ideologia “gender” (dalla legittimazione di un terzo genere da parte della Corte Costituzionale tedesca, alla sostituzione di un’indicazione neutra al posto del “lui” e del “lei” per rivolgersi ai bambini in una scuola svedese). Dice a proposito uno studioso inglese: “ la società era basata su un certo credo per secoli, e ora stiamo coltivando una nuova generazione che si aspetta che ogni proprio istinto sia rispettato istantaneamente, e peggio, che le infrastrutture sociali, dai bagni alle politiche si muovano attorno ai loro istinti.” O per cui esponiamo un’intera generazione di adolescenti ai contenuti on line senza mediazione e controllo, mettendola a rischio forte di dipendenza comportamentale, come denuncia Mary Aiken autorevole cyber psicologa.
Tutto questo, e altro ancora , le cui gravi conseguenze non ho certo il tempo di sviluppare in questo appunto, è successo perché hanno vinto su tutta la linea le idee della sinistra liberal, centrate sul mito dell’autodeterminazione dell’ individuo e del progresso. Ha vinto, insomma, una versione individualistica e libertaria del liberalismo, che si è elevata a cultura dominante perché evidentemente dotata di grande forza attrattiva, se:
- ha prevalso su una versione classica e “sociale” del liberalismo;
- è penetrata nel pensiero cattolico con la deriva protestante e puritana, lasciando spesso solo al tradizionalismo cattolico la difesa del buon senso e della ragione;
- è penetrata nel pensiero socialista con la deriva radicale e libertaria, abbandonando il buon senso e la ragione possedute dallo stesso Marx, quando tuonava contro il mito dell’uomo isolato, libero e indipendente, perché, sosteneva, solo nella società l’individuo può isolarsi, e bollava le pretese soggettive mascherate da diritti come “robinsonate!” (il mito di Robinson Crusoe: l’ assolutizzazione dell’io individuale).
Vorrei individuare un momento simbolico, una data fondamentale, che ha sancito la vittoria di questa forma neoliberale di nichilismo. Nel 2013 l’allora giudice della Corte Suprema degli USA Anthoni Kennedy, un conservatore, contro ogni pronostico fece pendere il suo voto, decisivo, erano infatti 4 a 4, a favore della legalizzazione del “ same sex marriage”, il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Kennedy, dopo una tormentata riflessione, si convinse che votare in quel modo incontrasse i valori in cui credeva: la libertà individuale e i diritti della persona.
Insomma riuscì a passare l’idea che quel voto riconoscesse la dignità umana e facesse avanzare la civiltà.
Ma la torsione libertaria e individualistica dei diritti umani non solo sfida millenni di storia, di saggezza e di evoluzione ma, in sostanza, non è neanche liberale. E contrasta con i risultati della scienza, come dirò brevemente.
L’ io individuale, soggetto di diritti illimitati, e il valore assoluto dell’autonomia individuale, ovvero i frutti della civiltà illuministica e razionale sono solo una parte della storia e della cultura liberale: quella hobbesiana.
La cultura moderna che ispira gli ordinamenti istituzionali e giuridici dell’Occidente è infatti imbevuta di quella che Francis Fukuyama ha chiamato “la fallacia hobbesiana” , per cui l’Individuo viene prima della Società e l’essere umano è primordialmente individualistico. In questa concezione, i diritti umani sono antecedenti all’ organizzazione sociale. E la liberta è prima e fuori della legge.
Grave fraintendimento. Il più grande liberale dell’ epoca illuministica e rivoluzionaria: Immanuel Kant e il più grande liberale del 900 Friedrich Von Hayek non avrebbero sottoscritto questa visione. Non ho lo spazio per sviluppare queste analisi. Mi limiterò ad un cenno su Kant.
Il fondatore della categoria giuridica moderna e il fautore della rivoluzione copernicana, per cui l’uomo deve uscire dallo stato di minorità intellettuale e cominciare a pensare con la propria testa, ci ha insegnato che: la liberta e la dignità dell’essere umano non stanno nella facoltà di scelta o nell’autonomia della volontà, ovvero nella liberta assoluta dell’individuo di perseguire la sua felicità come crede meglio, ed il cui unico limite sta nel non interferire con l’altrettanta libertà degli altri. La libertà e la dignità stanno invece nel rispetto di principi e leggi che tutelino il soggetto umano e la sua integrità, nell’uomo come “fine in sé e mai solo come mezzo”, contro gli abusi del potere e dei desideri soggettivi .
Il vero liberale, in sostanza, conserva il primato della Società sull’ Individuo, nel senso che sa che l’individuo è destinato a vivere in società. E riprende la grande tradizione che sta a fondamento della nostra cultura e della nostra civiltà. Omero e i Tragici, Platone ed Aristotele, tutta la più alta saggezza antica è accomunata nel riconoscimento della naturale “politicità” e socialità dell’essere umano.
Quindi il diritto non è il trionfo della liberta di scelta e dell’autodeterminazione ma è l’inveramento della giustizia, e la struttura che organizza al meglio le relazioni umane.
Esso costituisce la caratteristica ineliminabile dell’essere umano , essendo questo caratterizzato dalla “difettività” (come dice il filosofo del diritto Sergio Cotta) dalla “mancanza” (come dice Platone) o addirittura dalla “malattia” (come dice Ortega y Gasset).
In breve, il diritto attua e struttura la relazionalità umana, ovvero è la risposta specifica che l’umanità si è data per realizzare la sicurezza e la durata nell’esistenza. E questo comporta un grande rovesciamento di prospettiva.
Inoltre, la concezione dell’essere umano che risulta dal mito liberal progressista: da una parte, è un’ illusione ricorrente nella storia del pensiero umano fin dai sofisti greci, ovvero è la credenza che l’uomo possa staccarsi dalla sua corporeità ed animalità, che possa uscire dalle determinazioni biologiche del suo essere, ed intendersi come “misura di tutte le cose”.
Da un’altra, contrasta
- sia con tutto quello che conosciamo circa le origine umane: dalle ricerche di primatologia alla genetica delle popolazioni, dalla archeologia alla etnologia, dalla biologia evoluzionistica alla storia.
- sia con i risultati delle scienze sociali, psicologiche, economiche e neurologiche, che mostrano, in maniera cospicua, l’impossibilità di concepire l’essere umano come entità individuale e razionale.
Infine, la giustizia, l’uguaglianza e la dignità non sono di per sé una conquista della cultura e della ragione, come espressione specifica della civiltà liberale. Tali principi sono radicati in cui siamo fatti, nella nostra biologia di animali sociali, come mostra tutta una serie sistematica di ricerche ed evidenze:
- lo studio dei Bambini e della loro precocissima, innata, istintiva tendenza alla cooperazione e alla giustizia, e al riconoscimento dell’ autorità e delle norme che contrastano l’arbitrio e la sopraffazione, e garantiscono lo spirito di collaborazione e di gruppo.
- lo studio degli Animali, la cui similitudine con le nostre forme comportamentali e relazionali spezza il mito antropocentrico.
- lo studio delle prime Società umane che evidenzia il radicamento nel nostro DNA del valore della prossimità e della appartenenza al gruppo, fattori essenziali alla sopravvivenza e allo sviluppo dei singoli membri.
- lo studio del Cervello, per cui le tendenze sociali vivono nei nostri ormoni, che ci fanno star bene o male a seconda che agiamo o no in senso autenticamente relazionale. Per cui a livello biologico troviamo la conferma di quello che gli antichi greci hanno sempre saputo sul carattere di per sé distruttivo dell’ assolutizzazione dell’io .
- le evidenze della funzione benefica, per la salute fisica, della famiglia e delle relazioni umane, come la storia umana le ha conosciute nei secoli e universalmente.
Purtroppo, come afferma Simon Sinek, studioso di leadership ed organizzazioni sociali: “oggi la cultura e la mentalità corrente vanno da una parte, la necessita biologica e profonda dell’essere umano dall’altra.”