I FONDAMENTI DELLA LEADERSHIP

(tra politica, etica e biologia)

di Stefano Testa

Un noto, brillante studioso di Leadership, Simon Sinek, in un suo recente libro dal titolo molto significativo: Ultimo viene il Leader, in origine: “Leaders eat Last” (“I leader mangiano per ultimi”, frase presa da un comandante dei Marines) fa un’affermazione per certi aspetti sconcertante.
Dice Sinek “ Le norme culturali in vigore nella maggior parte delle aziende e organizzazioni lavorano contro la naturale inclinazione biologica dell’uomo”.
Quali sarebbero, ci chiediamo, queste norme culturali che vanno contro l’inclinazione biologica, ovvero i bisogni profondi dell’essere umano? a quale idee, evidentemente dotate di una formidabile forza persuasiva, fanno riferimento? A quali valori si ispirano?

Possiamo sintetizzare all’estremo dicendo che sono idee che rigettano il senso del limite e il detto dei Greci “metron ariston” (“la misura è la cosa migliore”), e che interpretano questo rigetto come progresso.
Trattasi di una potente illusione, ricorrente nella storia del pensiero umano, per la quale grazie alla sua razionalità e alla potenza della tecnica l’essere umano può staccarsi dalla sua corporeità e animalità, dalle determinazioni biologiche che lo costituiscono, e farsi lui stesso “misura di tutte le cose” .

Insomma è prevalso, seguendo il discorso di Sinek, quella parte del pensiero moderno che va contro la tradizione antica dell’essere umano come animale politico e sociale (zoon politikon), come individuo che non basta a se stesso ma sopravvive e prospera solo in una dimensione comunitaria sia essa la famiglia o la città. Quella parte del pensiero moderno che è caduta in quella che lo storico Francis Fukuyama ha chiamato la “fallacia hobbesiana”. E’ stato Thomas Hobbes, filosofo inglese giusnaturalista del 600 ad introdurre la scissione concettuale tra individuo e specie. Ovvero l’individuo viene prima della società e quest’ultima non sarebbe altro che una cornice esterna, il limite della sua indipendenza originaria, il risultato di un contratto, di una convenienza razionale, affinchè i singoli possano realizzare al meglio i propri scopi. Insomma, il pensiero che contrasta i bisogni profondi delle persone si fonda sull’idea della libertà assoluta dell’individuo di muoversi senza impedimento al perseguimento del proprio utile, ed il cui unico limite sta nel non interferire con l’altrettanta libertà degli altri. Per cui esistono solo gli individui e i desideri individuali.

Secondo Simon Sinek occorre promuovere e fondare su nuove basi la visione della leadership. E rifarsi ad una nuova antropologia, del tutto opposta a quella “hobbesiana”, basata sia su tutto quello che conosciamo circa le origini umane, sia sui risultati delle scienze: sociali, economiche, psicologiche e neurologiche, che mostrano, in maniera cospicua, l’impossibilità di concepire l’essere umano come entità individuale e razionale.

Antonio Damasio, neuroscienziato e saggista, nel suo ultimo libro “Lo strano ordine delle cose” scrive che la mente e la cultura devono essere in sintonia con la realtà biologica, e ci fa efficacemente capire che l’eccezionalità dell’uomo, il suo essere speciale, non implica che esso debba essere considerato come l’unico essere vivente padrone del suo destino biologico; l ‘unico a cui la natura non abbia posto limiti di sorta.

Tutta la vita, dagli organismi unicellulari all’essere umano, è soggetta agli stessi imperativi che Damasio riassume nel concetto di “omeostasi”. In sintesi, ogni organismo percepisce e agisce con lo scopo di preservare se stesso, e andare oltre la stessa conservazione della vita. Perciò deve trovare rimedi alla sofferenza e soluzioni alle difficoltà che incontra nel suo ambiente. E la strategia più efficace a questo scopo sta nella giusta combinazione di cooperazione, coordinamento e competizione tra gli organismi stessi, che permette la loro la sopravvivenza e la prosperità, “il prevalere e il perdurare”.
Anche i batteri, come gli esseri umani, pur con le ovvie, infinite differenze che passano tra i loro schemi rigidi e incoscienti e i nostri schemi flessibili coscienti, devono restare uniti e scegliersi alleati affidabili per far fronte alle minacce di un ambiente estraneo ed ostile. Devono valutare le forze in campo, difendere il loro territorio e le loro risorse, e lottare contro i disertori che si annidano tra loro.

La biologia nell’uomo significa fondamentalmente socialità. Questo approccio ribalta la prospettiva e ci mostra che avevano ragione i Greci a pensare l’uomo come animale sociale. L’essere umano è assolutamente relazionale, e la logica delle ragione viene dopo la logica della vita.

Soprattutto gli studi di Michel Tomasello, primatologo e psicologo, confermano che siamo esseri naturalmente inclini alla cooperazione e ad aiutarci l’un l’altro, e che nello stesso tempo abbiamo un istinto adattivo e ineliminabile di coalizione. Abbiamo dei meccanismi neurali che ci spingo a creare legami e ci sollecitano a fare gruppo.
Le tendenze collaborative e sociali essenziali alla sopravvivenza e allo sviluppo dei singoli membri sono state evolutivamente supportate da risposte fisiologiche positive, da un sistema ormonale che rafforza la capacità di cooperare. Ad esempio, quando condividiamo momenti di difficoltà o siamo insieme ai nostri, il nostro cervello rilascia una sostanza: l’ossitocina, l’ ormone del legame affettivi, che ci dà piacere, ci fa stare bene.
L’innata, costitutiva socialità e collaborazione e il bisogno profondo e vitale di appartenenza e di coalizione sono poi splendidamente dimostrati negli studi condotti con i bambini.
I piccoli umani prima di parlare e camminare compiono altri di altruismo e generosità, e sono in possesso di strumenti per giudicare gli altri: rapidamente distinguono amici dai nemici, sono velocissimi a dividersi in gruppi, fanno di tutto per difendere i propri e vedono gli altri come meno buoni e bravi .
Così inclini all’affiatamento con chi è simile a loro che si è riscontrato l’ incredibile e affascinante fenomeno che a poche ore dalla nascita i bambini, sentendo un altro neonato piangere, piangono anche loro. Ma non piangono se sentono un altro rumore. Non piangono se sentono piangere un bambino di vari mesi più grande. Non piangono se sentono una registrazione del proprio pianto. Ma soltanto se sentono un pianto di un bambino simile a loro.

E’ il riconoscimento della socialità dell’uomo, con tutto quello che comporta, che chiarisce il significato di “il Leader viene ultimo”.
Darcher Keltner, psicologo e professore a Barkeley, nel suo testo “Il paradosso del potere” sostiene che un enorme mole di evidenze scientifiche ci rivela che il potere, la leadership, non è qualcosa che si “afferra” ma qualcosa che è “dato” agli individui dai gruppi. Ed è durevole solo se è focalizzato sugli altri. I manager, afferma Keltner, devono smettere di rifarsi a Machiavelli, nel senso di intendere il potere, il comando, come forza o inganno. Il principale testo di educazione dei leader fino ad oggi pare sia stato il Principe di Machiavelli. Forse dovrebbero cominciare, aggiungiamo noi, a leggere l’Etica di Aristotele.
I gruppi prosperano attraverso il principio di reciprocità: lo scambio tra l’azione del leader, che mira alla protezione e agli interessi dei membri e all’armonia del gruppo, e la fiducia, la lealtà, il rispetto che questi gli riconoscono. I gruppi hanno successo quando gli individui al comando agiscono in modo da produrre “the greater good”(Keltner): esprimendo gratitudine, praticando rispetto, ed essendo umili. E quando fanno valere quella forza adattiva volta a punire chi tradisce e mina la fiducia nella comunità . Ritorna l’universale codice dell’esistenza, per cui l’attentato alla coesione sociale e alla dimensione comunitaria è quanto di peggio ci possa essere. Per inciso, Dante considera quello del tradimento come il peccato più grave e ignobile, peggio dell’assassinio, e infatti colloca nell’ultimo cerchio dell’Inferno tutti i traditori: della famiglia, del paese natale, degli amici e dei benefattori.
Le persone provano sulla propria pelle l’arroganza, la mancanza di rispetto, il disconoscimento del loro impegno.
È stato dimostrato che lo stress non è il risultato del fardello di responsabilità, ma del grado di controllo e consapevolezza che le persone hanno sul proprio lavoro. La mancanza di potere e di controllo causa danni alla salute. Oltre alla liberazione di cortisolo, l’ormone dello stress, c’è il fenomeno del logoramento dei telomeri: le stringhe di dna che proteggono i cromosomi e danno stabilità e forza alle cellule.

Questo ci porta all’ultima considerazione, che riprendiamo dallo scienziato psicologo Dan Ariely, i cui esperimenti gettano una nuova luce sulla importanza della motivazione intrinseca: nella pratica organizzativa ed aziendale abbiamo sistematicamente e abbondantemente sottostimato come siamo fatti, guidati nel profondo dal bisogno di essere riconosciuti, e di far parte di uno scopo condiviso e a lungo termine, il più a lungo termine possibile. Dice Ariely: la connessione con gli altri è il più potente motivatore del mondo.

La letteratura scientifica ci riporta al libro 12 dell’ Iliade di Omero, in quei passi dove il significato autentico della leadership emerge in tutta la sua grandezza:
L’eroe, il leader, non è colui che temerariamente agisce in maniera impulsiva o che ama la gloria sopra la vita.
Egli è mosso dalla missione di proteggere e d elevare i suoi, che per questo gli hanno conferito status e privilegi:

Sarpedonte e Glauco sono due capi guerrieri venuti dalla Licia, alleata dei Troiani contro i Greci.

Dice Sarpedonte a Glauco:
“ per quale motivo io e te siamo onorati in Licia con seggi d’oro, tenute immense, carni prelibate, coppe colme di vino e tutti guardano verso di noi come a dei? Ora dobbiamo dimostrare che siamo i migliori tra il nostro popolo, saldi di cuore e di mente nell’affrontare l’aspra battaglia. Qualcuno dei Lici in futuro dirà “I nostri sovrani non si dimostrano spogli di gloria nello scegliere il cibo migliore e nel bere il vino più dolce. Essi hanno forza infinita e sempre combattono in prima fila per i propri uomini!”
Amico mio, continua Sarpedonte a Glauco, se avessi la certezza di poter vivere per sempre, senza vecchiaia né morte, certo spingerei anche te ad abbandonare questa battaglia ed evitare di duellare con i più forti guerrieri Greci. Ma gli spiriti del destino fatale volano continuamente intorno a noi… Nessun umano può evitare la morte. Muoviamoci allora: sarà nostra, la gloria, o saremo noi a concederla agli avversari!”